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I Valori della Transumanza esportabili al terzo millennio

Sempre più numerose sono le iniziative  sul tema della transumanza : tempo fa la città di  Marsiglia ha ricevuto, proprio al centro della città, carovane di pecore, cavalli, asini provenienti dalle parti più disparate dell’Europa, con l’accoglienza festosa di tutta la popolazione.  Ma per restare nel nostro territorio, sono oramai una consuetudine i numerosi trekking di varia durata di tempo organizzati sui tratturi (si  vuol ricordare in particolare quello a piedi, organizzato da Ecotur di Pescasseroli, sul regio tratturo Pescasseroli – Candela, quello, sempre a piedi, organizzato con un forte coinvolgimento delle comunità locali, dall’Associazione  “Tr@tturo coast to coast”, su Casteldi Sangro- Lucera, e altri in bicicletta (come il Vallelonga biKe), a cavallo ecc ). E, in parallelo, il tema della transumanza accomuna tutto il territorio delle regioni attraversate dai tratturi (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia)  con feste di ogni genere, degustazioni, balli, convegni ecc.

Queste iniziative hanno per lo più una valenza di richiamo turistico a territori che, ancora, non hanno quel ritorno turistico che si meriterebbero, dato il grande patrimonio paesaggistico  e culturale di cui dispongono.  Ma del resto non può che essere così dal momento che le Regioni che mettono in mostra la natura , l‘enogastronomia,  il patrimonio straordinario delle chiese e dei monumenti storici regionali, non una parola spendono sui tratturi, nostri monumenti  ricchissimi di natura, di cultura e di tradizioni millenarie. E non può che essere così , dal momento che le svariate risorse economiche che l’Unione Europea ha riservato alla valorizzazione dei tratturi e delle aree della transumanza o non sono state  per nulla utilizzate e quindi sono state rinviate dall’Unione Europea  a paesi più abili del nostro, o sono finite a riempire la Regione e le Università di pubblicazioni a volte di  dubbio spessore o, addirittura,  dirottate  ad altri fini.

Né poi, come sarebbe auspicabile, si fa un uso adeguato di tale patrimonio, sul piano agricolo e zootecnico. Il numero di capi di bestiame (ovini, caprini e bovini) è diminuito drasticamente negli anni  (dall’Abruzzo, in alcune epoche della storia, si muovevano per andare in Puglia quasi cinque  milioni di pecore transumanti ),  ma ancora oggi si verifica una progressiva e preoccupante diminuzione di addetti all’allevamento  e di capi di bestiame. Infatti, nelle famiglie e nei ristoranti degli stessi territori che pure dispongono di aziende di qualità, si preferisce utilizzare formaggi, carne, e manufatti di lana  venduti nei centri commerciali  e per lo più di non chiara provenienza,  e non i prodotti sani e ottimi dei nostri allevatori .  Questi non riescono a vendere neppure il 5% della loro produzione nel territorio dove risiedono e, se non fosse  per la loro attività  paziente e tenace nel trovare un mercato attraverso il  loro diretto  collegamento con Gruppi di Acquisto Solidale,  Mercati contadini, Consumatori sensibili alla qualità dei prodotti, chiuderebbero  certamente le porte,  senza che  le istituzioni competenti muovano  un dito!

Sono invece numerosi gli esempi oltralpe, ma anche in alcune delle nostre regioni (come il Piemonte ecc)  che dimostrano come l’allevamento  possa avere una grandissima vitalità economica  se venisse utilizzata la lana delle pecore  ad esempio nella bioedilizia o nei filati, la carne e il latte degli animali nelle filiere del Km zero,  se ci si adoperasse per diffondere un’attenzione alla qualità dei prodotti (traguardi che laddove vi sono istituzioni sensibili, giovani adeguatamente formati dalle Scuole e Università e un sistema territoriale  sufficientemente coeso,  è possibile raggiungere con grande  facilità).

Tuttavia il mio contributo, come direttrice del Museo della Transumanza di Villetta Barrea (museo  di proprietà del Comune e del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e gestito per mezzo dell’Associazione  Borgo Fattoria Didattica)  intende stimolare  una riflessione collettiva sui valori della transumanza  esportabili al III millennio.

Voglio partire dalla mia convinzione che l’eredità  comune della civiltà della transumanza meriti il dovere  da parte di tutti noi di un’approfondita conoscenza dei valori di cui è stata portatrice, pur nella consapevolezza delle sue criticità, e meriti anche una valorizzazione che vada al di là di un uso estremamente riduttivo che paralizza l’attenzione solo  sugli aspetti più folkloristici.

Ma parto anche dalla convinzione  che una valorizzazione dei tratturi, assolutamente auspicabile,  in chiave turistica o agricola pastorale,  sia  ancora poca cosa rispetto alle potenzialità  espresse dal patrimonio della transumanza.  E quindi cercherò di sottolineare due aspetti  della civiltà della transumanza, che a mio avviso hanno un grande interesse  per la crescita culturale  necessaria al futuro del territorio, attraverso l’analisi di un’iscrizione pastorale particolarmente significativa.

Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise ha voluto porre, all’inizio del tratturo Pescasseroli-Candela in località Campomizzo,  l’iscrizione “Molti uomini hanno fatto il cammino che noi facciamo: la nostra orma si perde, ma la strada rimane”.  Che cosa sottende questa iscrizione ?

Molti uomini hanno fatto il cammino che noi facciamo… qui non si parla solo della transumanza a piedi  che i pastori solevano fare a partire dal periodo aragonese e fino agli anni cinquanta dello scorso secolo, ma si fa riferimento a quelle numerose generazioni di pastori che,  dal ver sacrum (X,  IX, VIII sec a C) in poi,  hanno percorso, dietro alle proprie greggi, questi sentieri.

La  nostra orma si perde, ma la strada rimane…. L’orma dell’individuo si perde e si può perdere, purché la strada rimanga e continui ad essere percorsa.

Per  i pastori dell’età aragonese e moderna,  questo valore è un valore ereditato dalle popolazioni italiche pre romane, per cui il valore cardine della vita non era il senso della propria vita,  del proprio benessere, della propria orma,  ma era il bene supremo della comunità. Nella lingua osca, parlata dalle popolazioni antiche, la comunità era la “touto”, e richiedeva  un lavoro vissuto con dedizione totale, anche se comportava condizioni di sacrificio personale estreme.  Un legame che non si esauriva in mansioni operative limitate nel tempo e nei ruoli, ma implicava un coinvolgimento individuale totalizzante e perfino il coinvolgimento dei  familiari e dei compaesani, nella consapevolezza che, altrimenti, sarebbe stata a rischio la sopravvivenza  della comunità. ”I legami sociali (scrive, Uberto D’Andrea, storico locale del territorio del Parco d’Abruzzo)  erano strettissimi, cementati dagli interessi comuni e mai allentati dall’egoismo, fatti di gratitudine per le generazioni precedenti e di attenzione per quelle successive, con un vero e proprio culto degli antenati” .

La pazienza,  il coraggio e l’onore erano i grandi valori della società pastorale italica,  in assoluta antitesi con gli  attuali stili di vita,  prevalentemente  attenti  all’accaparramento della ricchezza e del potere e quindi prede non rare del rischio di  corruzione.  Non bisogna mai dimenticare che le  popolazioni italiche (I Sanniti, i Marsi ecc) erano solite combattere fino a morire, anche senza speranza di vittoria, perché preferivano  essere uccisi pur di non rinunciare a salvare la libertà dellatouto.E questa società  si  è mantenuta inalterata  per secoli e secoli, grazie proprio a quell’ isolamento che ha caratterizzato i paesi di montagna, dove  fino all’inizio del 1800, le uniche strade che li attraversavano  erano i tratturi.

La critica alla società pastorale da parte  degli illuministi francesi, se da una parte ha portato alla luce le stridenti sperequazioni sociali  che nell’evoluzione dei tempi si erano create, evidenziate anche nei quadri del pittore di  Castel di Sangro, Teofilo Patini (Bestie da soma, L’erede ecc) , è stata tuttavia mossa in nome del principio dell’individualismo borghese, in contrasto totale con  quello dettato dal profondo senso della solidarietà e dell’unione della comunità che aveva animato per tanti e tanti secoli  l’epoca della transumanza.  E se questo concetto con il tempo aveva perso il suo  senso in molti luoghi, era ancora vivissimo nei paesi montani, dove vigeva uno stile di vita improntato sui valori antichissimi della “comunità”.  Questo deve farci capire il radicale passaggio che c’è stato tra un’epoca e l’altra e che è stato solo in parte sintetizzato nel detto “o transumante o brigante o emigrante”. Con il decadere della transumanza, infatti, non si può pensare che sia avvenuto soltanto un radicale cambiamento nell’economia dei paesi, ma si è verificato anche e forse  soprattutto un cambiamento  degli stili di vita.

L’antico scambio gratuito dei servizi proprio di una società comunitaria è stato progressivamente sopraffatto, anche in conseguenza del progressivo emergere della società dei consumi,  dalle rivendicazioni del proprio spazio individuale e la  disunione fra le persone , fra i  gruppi, fra i paesi    è diventata  una costante del territorio,  senza  peraltro  consentire  quel  confronto fra differenti  pensieri, fra diverse  idee, proprio dell’età moderna. E  finendo quindi a  deprivare  i paesi  di quel portato individuale legato alle esperienze personali, ricche di valori affettivi, emozionali, intellettuali,  che, messe in comune, avrebbero potuto alimentare invece la vitalità del territorioSolo eccezionalmente, in particolari momenti, come in quello  dei funerali o di particolari catastrofi  (terremoti ecc), le comunità  riescono ancora a ritrovare quell’unione, che costituisce il loro imprinting originario e che , nel terzo millennio, può (e deve a mio avviso) riportarci ad un nuovo spirito comunitario dove la comunità per un verso riprende ad essere vissuta come bene comune, e, per l’altro  verso,  può tuttavia arricchirsi del portato individuale dei singoli componenti.

Se questo è il valore fondamentale che apprendiamo dalle popolazioni pastorali antiche, Il valore che ci insegna la transumanza di epoca moderna è il collegamento fra realtà differenti che possono trovare una sinergia, fra gruppi e popolazioni diverse che possono stabilire un accordo e un confronto pluralistico, fra territori fisicamente e culturalmente lontani, ma che nella loro complementarietà possono costituire un sistema fecondo, allo stesso modo in cui,   attraverso i tratturi, si collegavano fra loro ambiti territoriali diversi , ma strettamente complementari.  E  questo equilibrio,  che è  un aspetto peculiare della sapienza pastorale,  può  diventare l’eredità  per le  generazioni attuali , un’eredità che si apre al futuro, a saperi nuovi, a nuove professionalità, a nuove tecnologie, a nuovi stili di vita, in una parola a nuove e grandi prospettive. Questi due grandi valori che rappresentano due facce di uno stesso corpo – il senso del bene comune e l’attenzione alla sinergia –  possono trovare un veicolo di sensibilizzazione nei tratturi e nelle aree della transumanza, se questi  DA VIE DELLA LANA DEL PASSATO e DA MONUMENTI VERDI DEL PRESENTE che conciliano escursionismo, archeologia, storia,  tradizioni, economia pastorale, riuscissero a diventare  VIE DELL’ARTE in cui il potenziale dell’arte,  finora scarsamente messo a frutto dalle istituzioni, costituisca un potente volano di educazione alla ripresa del senso del bene comune e di promozione  dell’ integrazione e complementarietà  fra popolazioni e territori , dando vita a  nuove forme di “transumanza” di artisti e di popolazioni.

@ Mariapia Graziani

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